
Secondo un’analisi pubblicata da Oceana, entro il 2030 i prodotti Coca-Cola riverseranno circa 602 milioni di kg di plastica ogni anno negli oceani e nei corsi d’acqua del mondo. L’equivalente di 220 miliardi di bottigliette da mezzo litro. O, come provocatoriamente sottolineano i ricercatori, abbastanza plastica da riempire lo stomaco di 18 milioni di balene.
Il peso di un gigante globale
“Coca-Cola è il più grande produttore di bevande al mondo. Il suo ruolo nella crisi ambientale è determinante”, afferma Matt Littlejohn, responsabile campagne di Oceana. L’azienda è infatti il primo marchio in assoluto per inquinamento da plastica, seguita da PepsiCo, Nestlé e Danone, come conferma anche uno studio del 2024 pubblicato su Science Advances.
Il ritorno promesso (e mai mantenuto) al riutilizzo
Nel 2022, la stessa Coca-Cola aveva riconosciuto che il packaging riutilizzabile è “una delle soluzioni più efficaci” per ridurre i rifiuti, promettendo che il 25% dei propri contenitori sarebbe stato riutilizzabile entro il 2030. Ma nel piano sostenibilità pubblicato a fine 2024, quel traguardo è sparito.
Ora l’obiettivo punta su più plastica riciclata e migliori sistemi di raccolta. Ma per Oceana, non basta: “Il riciclo è utile – dice Littlejohn – ma se lo usi solo per produrre altra plastica monouso, non risolvi nulla”.
Una crisi ambientale e climatica
La plastica è derivata dal petrolio. Più plastica = più emissioni. L’abuso di imballaggi usa-e-getta non è solo un disastro ecologico, ma anche un acceleratore del cambiamento climatico.
Le alternative esistono. E funzionano già
Il paradosso? Coca-Cola gestisce già sistemi di riutilizzo efficienti in Paesi come Germania, Brasile, Nigeria e perfino in Texas. Bottiglie di vetro che possono essere riutilizzate fino a 50 volte. “Hanno l’infrastruttura più grande del settore – spiega Littlejohn – e potrebbero guidare l’intera industria verso un cambiamento radicale.”
Il futuro è (ri)utilizzabile
Da simbolo della plastica a leader dell’economia circolare? Per Coca-Cola la strada è tracciata, ma serve volontà. “Stiamo investendo nel riutilizzo”, ha dichiarato un portavoce all’AFP. Ma tra piani cancellati e promesse disattese, la fiducia è fragile. E l’oceano non può più aspettare.