Disastro petrolifero alle Mauritius: cosa c’è dietro?

Si aprono nuovi inquietanti scenari

Disastro petrolifero alle Mauritius: cosa c’è dietro?

L’estate scorsa, la notizia di un disastro petrolifero alle Mauritius ha fatto il giro del mondo, con l’immagine dell’ennesimo paradiso naturale violato. Un impatto mediatico tanto grande da far passare in secondo piano interrogativi che ancora cercano risposte. E da essere accompagnato da una concitata serie di confuse notizie iniziali che, in alcuni casi, si sono poi rivelate false.

Prima notizia falsa: la Wakashio, la nave lunga 300 metri che si è schiantata sulla barriera corallina di Pointe d’Esny (un’area di importanza mondiale per la tutela della biodiversità), non era affatto una petroliera. Si trattava di una nave da carico che – partita da Singapore – andava in Brasile per caricare minerali ferrosi. Il problema è che una nave del genere “contiene” qualche migliaio di tonnellate di carburante che, più o meno, equivale al carico di una petroliera degli anni ‘50. E questo carburante purtroppo è generalmente assai più tossico del “crude”, ovvero del petrolio non raffinato.

Seconda notizia falsa: inizialmente si pensava che il carburante della Wakashio consistesse in “circa 3.800 tonnellate di bunker (combustibile pesante usato in crociera) e 200 tonnellate di diesel (combustibile che fornisce più potenza e si usa in particolare per le manovre)”. Pare che a bordo non ci fosse una goccia di “bunker”. E qui, il mistero s’infittisce.

Dopo l’incidente, mentre un ampio tratto di mare viene imbrattato dal carburante della Wakashio, nessuno riesce a capire cosa diavolo stia davvero uscendo da quella nave. Sapere di che si tratta sarebbe di importanza vitale per interventi accurati, ma sulle operazioni in questione si ha la sensazione che scenda una coltre opaca. Un velo che un’indagine a cui Greenpeace ha collaborato ha cercato di squarciare. Con risultati che, se confermati, sarebbero piuttosto inquietanti.

La Wakashio viaggiava con un nuovo – e controverso – tipo di carburante: il Very Low Sulfur Fuel Oil (VLSFO) che in breve tempo ha soppiantato il (già notevolmente inquinante) bunker, ma su cui pesano notevoli dubbi di carattere ambientale e di sicurezza della navigazione.

La pandemia ha generato un eccesso di offerta di carburante, in particolare di carburante per aerei, il “jet fuel”. Per smaltirlo, lo si è mescolato proprio con il VLSFO, aumentandone verosimilmente la tossicità. Questa “miscela” pericolosa era stata prodotta da BP (la stessa responsabile del disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, nel 2010). E, infine BP si sarebbe rifiutata di fornire campioni del carburante conferito alla Wakashio a Singapore per le analisi chimiche che, come detto, avrebbero aiutato le operazioni di pulizia.

Siccome il VLSFO ormai è il combustibile navale più diffuso al mondo, viene da chiedersi: è utilizzato anche nel Mediterraneo e in Italia?

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