
Il 20 ottobre Petrobras, la compagnia petrolifera statale del Brasile, ha ricevuto il via libera ufficiale per avviare l’esplorazione petrolifera al largo dell’Amazzonia.
Il progetto arriva a poche settimane dalla Cop30, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà proprio in Brasile, a Belém — nel cuore della foresta amazzonica.
Una coincidenza che molti considerano un boomerang politico per Lula, il presidente che si presenta come campione della transizione verde.
Lula tra ambiente e petrolio
Luiz Inácio Lula da Silva ha sostenuto pubblicamente il progetto, affermando che i proventi del petrolio serviranno a finanziare la transizione energetica del Paese.
Ma le ONG non ci stanno: per loro, questa decisione è un tradimento ambientale.
Dove e come si trivella
Le trivellazioni inizieranno immediatamente e dureranno circa cinque mesi, secondo quanto dichiarato da Petrobras. L’esplorazione avverrà in acque profonde, a circa 500 km dalla foce del Rio delle Amazzoni e 175 km dalla costa brasiliana, nella regione del Margine equatoriale — un’area oceanica dove la vicina Guyana ha già scoperto enormi riserve di greggio. Petrobras assicura di aver rispettato tutti i requisiti ambientali imposti dall’Ibama, l’istituto nazionale per l’ambiente.
Le critiche del mondo ambientalista
Gli ambientalisti parlano di “errore storico”. Il timore è che il nuovo fronte petrolifero possa minacciare l’ecosistema marino amazzonico, già sotto pressione per la deforestazione e i cambiamenti climatici.
Tra petrolio e rinnovabili
Il Brasile resta l’ottavo produttore mondiale di petrolio, con 3,4 milioni di barili al giorno nel 2024. Tuttavia, la metà dell’energia nazionale proviene da fonti rinnovabili: un equilibrio fragile che rischia di rompersi con il nuovo progetto offshore. Il paradosso di Lula è tutto qui: promuovere la sostenibilità mentre si trivella davanti all’Amazzonia.