La rivoluzione nelle tv complica la rete unica

La Corte di Giustizia dell’Ue da ragione a Vivendi. Secondo i giudici, la legge italiana in materia è “contraria al diritto dell’Unione”

La rivoluzione nelle tv complica la rete unica

Vivendi batte Mediaset davanti alla Corte di Giustizia Ue: secondo i giudici del Lussemburgo, la normativa italiana che aveva impedito la scalata della società francese nell’azienda di Berlusconi è contraria al diritto dell’Unione. E dunque andrà riscritta.


Un verdetto che accoglie le tesi sostenute dall’Avvocato generale della Corte nelle sue conclusioni pubblicate a dicembre. E che è destinato a riaccendere lo scontro tra il gruppo del Biscione e quello di Bolloré. Secondo la Corte, la legge italiana - giustificata dalla necessità di proteggere il pluralismo dei media - è “sproporzionata”, in quanto fissa soglie che, “non consentendo di determinare se e in quale misura un’impresa possa effettivamente influire sul contenuto dei media, non presentano un nesso con il rischio che corre il pluralismo dei media”.

Nel 2016 Vivendi aveva lanciato una campagna ostile per acquisire le azioni Mediaset, arrivando al 28,8% del capitale (pari al 29,94% dei diritti di voto). Ma la legge italiana vieta a una società di realizzare oltre il 20% dei ricavi complessivi del Sistema integrato di comunicazioni, anche indirettamente. Una percentuale che si riduce al 10% se la società in questione detiene già una quota superiore al 40% dei ricavi complessivi del settore delle comunicazioni elettroniche. Circostanza che si applica a Vivendi, vista la sua partecipazione in Tim. Per questo motivo, nel 2017, l’Agcom aveva bocciato l’operazione, costringendo Vivendi a parcheggiare in una società indipendente il 19,19% delle azioni Mediaset.

Il contenzioso è finito così di fronte al Tar del Lazio, che ha chiamato in causa la Corte di Giustizia Ue. E ora è arrivato il verdetto. Secondo i giudici europei, le norme italiane che limitano la libertà di stabilimento in nome della tutela del pluralismo dell’informazione sono “sproporzionate” e, dunque, “contrarie al diritto dell’Unione”. La Corte osserva che, “anche se una restrizione alla libertà di stabilimento può essere in linea di principio giustificata da un obiettivo di interesse generale, quale la tutela del pluralismo dell’informazione e dei media, ciò non avviene nel caso della disposizione in questione, non essendo quest’ultima idonea a conseguire tale obiettivo”.


Secondo i giudici, le disposizioni italiane definiscono “in modo troppo restrittivo il perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche, escludendo in particolare mercati che rivestono un’importanza crescente per la trasmissione delle informazioni, come i servizi al dettaglio di telefonia mobile o altri servizi di comunicazione elettronica collegati ad Internet nonché i servizi di radiodiffusione satellitare che oggi sono divenuti la principale via di accesso ai media”.

E adesso la rivoluzione nelle tv complica la rete unica. Il governo italiano lancia l’allarme e la grande partita delle telecomunicazioni si riapre. Dalle tv ai giornali, dai telefonini (appunto) alla rete unica. Tutto si rimette in discussione. Perché tutto passa attraverso alcune delle più grandi aziende italiane. E il dossier, che fino a ieri sembrava chiuso, di nuovo si spalanca negli uffici del governo.

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