
L’industria delle armi è capital-intensive: richiede enormi investimenti in tecnologie sofisticate, ma impiega relativamente pochi lavoratori. Inoltre, il 70% delle forniture militari europee viene dall’estero, riducendo al minimo l’impatto positivo sull’economia interna.
Sanità e scuola battono il riarmo
Al contrario, settori come sanità, istruzione ed economia verde sono labor-intensive, capaci di generare molti più posti di lavoro diretti e indiretti. Non solo: attivano filiere locali e hanno un effetto moltiplicatore molto più ampio sull’economia nazionale.
Il caso Rheinmetall: boom in Borsa, pochi posti in più
La tedesca Rheinmetall ha visto crescere il proprio valore del 300% tra il 2022 e il 2024, ma ha aumentato i dipendenti solo del 15%. Un dato che conferma come il riarmo premi soprattutto gli azionisti, non i lavoratori. Nello stesso periodo, la Germania ha tagliato 2 miliardi alle rinnovabili: un settore che crea 42 posti di lavoro per ogni milione investito, contro i 14 dell’industria militare.
L’illusione dello spin-off tecnologico
Spesso si sostiene che la spesa militare stimoli l’innovazione, ma oggi le vere rivoluzioni arrivano da università, Big Tech e startup, non dai laboratori bellici. GPS e internet appartengono a un’altra epoca: oggi i settori digitali, energetici e biotech avanzano molto più rapidamente in ambito civile.
La vera alternativa: investire nel futuro
La corsa al riarmo è non solo una scelta rischiosa sul piano geopolitico, ma anche un errore economico: brucia risorse pubbliche che potrebbero creare occupazione e benessere. La vera strada, secondo gli economisti, è puntare su transizione ecologica, servizi pubblici e innovazione civile: investimenti che generano lavoro, resilienza sociale ed equità.