In Italia quasi un lavoratore su otto è a rischio povertà. La rilevazione Eurostat, che fissa la media dell'Ue al 9,6%, pone l'Italia in coda alla classifica dei cosiddetti working poor, con l'11,7%. Performance peggiori sono evidenziate soltanto da Grecia, Lussemburgo, Romania e Spagna.
Disaggregando i dati appare lampante quanto il rischio sia concentrato sui lavoratori flessibili. La probabilità di diventare povero aumenta al 15,8% per gli occupati part-time, al contempo scende al 7,8% per i full-time. Sale al 16,2% nel caso di impiego temporaneo e si attesta al 5,8% per il tempo indeterminato. In questo caso il gender-gap pende a sfavore degli uomini, che affrontano un rischio povertà superiore (10%) rispetto alle donne (9,1%).
Tuttavia, lo scenario è peggiorato per tutti i lavoratori ed è ormai diventato, successivamente alla Grande Recessione, un fenomeno europeo, che vede l’Italia mostrare le proprie fragilità più di altri paesi. Come conferma l’evidenza empirica: dal 2010 la probabilità di riscoprirsi working-poor è aumentata di 2,2 punti percentuali.
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