
Nella raffica di notizie che Donald Trump ha prodotto da quando è entrato in carica come presidente degli Stati Uniti, una delle più importanti ha forse ricevuto non abbastanza attenzione: per abbassare il prezzo del petrolio, Trump sta mettendo sotto pressione l’Arabia Saudita.
Secondo il presidente degli Stati Uniti, “il Regno dovrebbe aumentare i suoi volumi di produzione”, ha spiegato il tycoon in un intervento dei giorni scorsi al World Economic Forum di Davos.
“Drill, baby, drill”: ecco allora che la promessa di produrre più petrolio assume una dimensione di politica estera. Trump non è interessato soltanto a benzina e gasolio più economici per gli automobilisti americani.
Secondo lui l’abbassamento dei prezzi del petrolio è uno strumento strategico per costringere il presidente russo Vladimir Putin al tavolo delle trattative. “Se il prezzo scendesse, la guerra russo-ucraina finirebbe immediatamente”, ha detto Trump a Davos.
Non è così semplice passare dalla teoria alla pratica, ma sostanzialmente in questo caso Trump ha ragione? In effetti, ciò che prima sembrava essere un’espressione della sua arroganza, ora potrebbe essere sostenuto da un concetto di realpolitik.
Chiaramente l’affermazione di Trump secondo cui la guerra in Ucraina sarebbe finita nel suo primo giorno in carica non era realistica. Ma la strategia di distruggere la base commerciale della macchina da guerra russa inondando i mercati petroliferi potrebbe rivelarsi sensata.
Se i prezzi dell’oro nero scendessero sensibilmente, l’economia della Federazione (che è il secondo esportatore mondiale di petrolio dopo l’Arabia Saudita) accuserebbe un duro colpo. Probabilmente più di quelli fino ad ora assestati dalle innumerevoli sanzioni a cui è tutt’ora sottoposta Mosca.