Draghi: “Accordo con l’Algeria su energia e gas”. La risposta del governo italiano alla dipendenza da Mosca (passando da una dittatura a un’altra)

Draghi, Di Maio, Cingolani e Descalzi in missione ad Algeri centrano l’obiettivo di sostituire un terzo del gas russo: assicurati 9 mld di metri cubi aggiuntivi attraverso il gasdotto TransMed. Il problema però non è diversificare a prescindere. L’accordo con il paese nordafricano aggira l’ostacolo, non lo risolve: gli oligarchi algerini sono forse tanto meglio di quelli russi?

Da una dittatura a un’altra: la risposta del governo alla dipendenza

Raddoppiare l’import di gas dall’Algeria, aggiungendo 9 miliardi di metri cubi all’anno (gradualmente volumi crescenti di gas a partire dal 2022, fino alla quota annuale dei 9 mld nel 2023-24) ai 20 forniti all’Italia in quota Eni attraverso il gasdotto Transmed nel 2021. Per compiere un altro passo verso la diversificazione delle fonti e liberare progressivamente l’Italia dal giogo energetico russo.

Questo è l’obiettivo raggiunto dalla missione in Algeria del premier Mario Draghi, i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani e degli Esteri Luigi Di Maio, che aveva aperto il canale diplomatico per rafforzare la cooperazione energetica tra i due paesi con una visita a pochi giorni dallo scoppio della guerra, il 28 febbraio, accompagnato dall’ad di Eni Claudio Descalzi.

L’Algeria è attualmente il nostro maggiore fornitore dopo la Russia (da cui importiamo 29 miliardi di metri cubi l’anno). Dal TransMed sono transitati nel 2021 circa 10 miliardi di metri cubi in quota Eni destinati all’Italia, e altri 11 in quota ad altri operatori italiani e internazionali, per un totale di 21. Con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, Draghi ha inoltre sottoscritto un’intesa per investimenti comuni delle rinnovabili, che hanno grande potenziale di sviluppo in Nordafrica. Il punto è che il fattore tempo è determinante.

Sul fronte dell’energia il governo si muove su più livelli: nel breve periodo va ricercato il gas da altri Paesi e spinta al massimo la produzione italiana ricorrendo se necessario anche al carbone. Una situazione fino a pochi mesi impensabile: il ricorso maledetto all’energia più sporca. Nel medio periodo si aumenterà l’import di gas liquido, a partire da quello aggiuntivo promesso dagli Stati Uniti all’Europa, e la potenza delle rinnovabili. Ma qui la storia diventa più nebulosa perché non è chiaro se e, soprattutto, in che misura il governo intenda ritarare al rialzo gli investimenti nelle rinnovabili, rendendoli le fonti pulite più accessibili per cittadini, imprese e enti.

Tornando al caso algerino, non tutto il volere è potere. L’industria del gas nel paese nordafricano è stata frenata negli ultimi anni da una mancanza di investimenti e dall’instabilità politica. Algeri sta anche cercando di fare fronte a una domanda domestica che cresce con l’aumento della popolazione, riducendo lo spazio per le esportazioni. L’azienda pubblica domestica, Sonatrach, ha fatto sapere all’inizio di aprile di avere disponibili solo “alcuni miliardi di metri cubi addizionali” e di stare comunque incrementando l’esplorazione di giacimenti di gas con l’obiettivo di raddoppiare la capacità produttiva in quattro anni.

Il punto non è solo la capacità di export algerina. C’è un aspetto geopolitico che ci riporta al principio, ovvero alla Russia e alla necessità di rendere più eterogenee le fonti di approvvigionamento. Premettendo che in economia la diversificazione del rischio è chiaramente considerata una mossa saggia, il punto di svolta non è tanto l’import in quanto tale, quanto il fatto di affidarsi a paesi in cui la democrazia non è compiuta. E, in tal senso, tra la Russia e l’Algeria non c’è una differenza sostanziale sul piano delle democrazie compiute.

Il problema è che affidarsi a Stati semidittatoriali espone i paesi importatori, come l’Italia, a una serie di rischi. La lezione russa è talmente fresca e cocente che non può essere ignorata. Il che ci riporta al concetto iniziale: paradossalmente, non sempre diversificare il rischio significa ridurlo. Algeria e Russia, secondo il Democracy Index, rientrano nello stesso gruppo (regimi autoritari).

E sul tema ‘import di energia’ il viaggio ad Algeri è il primo di una serie nell’agenda del premier delle prossime settimane: dopo Pasqua potrebbe essere la volta del Congo, seguito da Angola e Mozambico. Tutte noti esempi di democrazia. I difensori di alcune scelte di Palazzo Chigi potrebbero, giustamente, obiettare che gli altri possibili esportatori non offrono esempi migliori. La risposta non può che essere quella di investire di più sulle rinnovabili. Come peraltro ha appena deciso le Germania. Tanto per fare un esempio.

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