Nel Regno Unito c'è una Brexit n.2: il distacco da gas e carbone

Svolta storica in Gran Bretagna. La capacità elettrica di eolico, solare e delle altre fonti verdi, grazie a un forte calo dei costi, ha fatto boom e ha messo la freccia sull'energia di origine fossile

C'è una Brexit n.2: il distacco da gas e carbone

Mentre il distacco dall'Unione Europea arranca, tra spasmi e contrasti che percorrono in lungo e in largo sia gli abitanti del Regno Unito sia gli stessi partiti - di maggioranza come di opposizione - c'è un altro movimento di fuga in atto, meno mediatico, ma che trova tutti i cittadini di Sua Maestà concordi. È l'allontanamento dai combustibili di origine fossile. La Gran Bretagna ha raggiunto il ristretto club dei paesi in cui l'energia disponibile da fonti rinnovabili è superiore rispetto a quella disponibile da fonti tradizionali: petrolio, gas, carbone. Anche se, in questa corsa alla meritocrazia energetica e ambientale, c'è un piccolo trucco e sta nella parola “disponibile”. Cioè, si tratta di energia potenziale, sulla carta.

Andiamo con ordine. Nel terzo trimestre del 2018 Londra ha diffuso la lieta novella: per la prima volta nella storia britannica la capacità energetica da rinnovabili ha superato la capacità dei carburanti fossili (41.9 gigawatt contro 41.2 GW). Ciò vuol dire che la potenza installata - questa è la capacità- cioè gli impianti solari, eolici, da biomasse e idroelettrici, nel loro insieme e nella loro potenzialità produttiva massima, “valgono” più degli impianti a gas, petrolio o carbone. Ma questi ultimi, però hanno ancora la meglio, e di molto, in termini di produzione elettrica effettiva: da loro infatti proviene il 40% dell'energia elettrica britannica contro il 28% dalle sorgenti pulite. Perché?  Perché le centrali tradizionali si alimentano in modo costante, mentre, se non c'è vento le pale eoliche si fermano, se ci sono nuvole o nebbia i pannelli non rendono e se l'acqua diminuisce l'idroelettrico rallenta.

Sono fonti, oltre che pulite e rinnovabili, ancheintermittenti. Di qui, il gran dibattito in corso in Gran Bretagna sulle scelte energetiche (a differenza che in Italia dove non pare essere un tema presente nell'agenda politica). Bene. L'altra notizia di questi giorni è che i conservatori, al governo con Theresa May, hanno deciso di rimuovere il blocco ai finanziamenti che avevano posto nel 2015, per motivi paesaggistici e di resistenza delle popolazioni delle zone ventose, contro il proliferare dei parchi eolici. “Se un comune non si oppone esplicitamente si può tornare a impiantare le turbine eoliche (con sovvenzioni)”, è la recente decisione del governo May. Forse favorita da uno studio recente volto a scoprire quale, tra le rinnovabili, sia l'energia meno costosa in termini di installazione e di penalizzazione da intermittenza: è proprio l'eolico terrestre, perchè quello offshore è invece la fonte verde più cara. Il costo del solare si avvicina all'eolico di terra. In ogni caso i costi dei tre sistemi sono molto diminuiti: il che ha portato, appunto al boom dell'energia verde in UK.

E l'Italia? Una scarna fotografia, può essere utile per capire che il nostro paese non se la cava male. Si basa su dati del GSE, il gestore dei servizi energetici. L'Italia sviluppa una capacità da rinnovabili di 109 GW, ebbene sì, dato del 2017. E la produzione dalle rinnovabili (quindi fotovoltaico, idroelettrico, eolico, geotermico e biomasse) è di poco inferiore, 104 GW, pari al 35% della produzione complessiva nazionale. Dati confortanti, che confermano che, se l'Italia viene redarguita da diverse istituzioni europee su tanti fronti socio-economici, non lo si può fare per i cosiddetti obbiettivi del pacchetto Clima-Energia “20-20-20”: in tema di rinnovabili l'Italia dovrebbe per il 2020 coprire con le rinnovabili il 17% dei consumi totali (quindi anche per riscaldamento e per autotrazione). Ebbene, traguardo raggiunto e superato, al 17,7%, già nel 2017. Ma è giunto ora il momento di porsi obiettivi più ambiziosi.

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su LA STAMPA

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