
Sono passati 33 anni dalla strage di via Mariano d’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Ma la verità resta ancora sfocata, frammentata, forse volutamente nascosta. I magistrati parlano chiaramente: “Non solo mafia, ma anche altri poteri interessati alla sua eliminazione”.
Un depistaggio colossale
Secondo la sentenza del 2022, si tratta del “più grande depistaggio della storia d’Italia”. La squadra investigativa coordinata da Arnaldo La Barbera e dal procuratore Tinebra avrebbe costruito il falso pentito Vincenzo Scarantino, portando alla condanna di sette innocenti. Solo grazie a Gaspare Spatuzza, il castello di menzogne è crollato anni dopo.
L’agenda rossa scomparsa
La famosa agenda rossa di Borsellino, in cui annotava dettagli delle sue inchieste, è sparita nel nulla. L’ultima volta fu vista nella sua borsa, poi presa da uomini dei servizi segreti. Un’ombra che, ancora oggi, simbolizza una verità nascosta, mai completamente disvelata.
Mafia e appalti: la pista ignorata
Un nuovo fronte si riapre attorno al dossier “mafia e appalti” del Ros. Secondo la famiglia Borsellino e alcuni investigatori, sarebbe stato un movente per la strage. Il magistrato se ne stava occupando, ma il fascicolo venne archiviato in fretta. La Procura di Caltanissetta ha ora aperto un’inchiesta su ex magistrati e ufficiali che non avrebbero valorizzato intercettazioni chiave, poi ritrovate per caso in vecchi archivi.
Un Paese che forma l’oblio
A 33 anni dalla strage, l’Italia continua a inseguire la verità. Una verità scomoda, frammentata, mai pienamente rivelata. E il sospetto che lo Stato non abbia solo subito, ma anche agito, resta sospeso come un macigno sulla memoria collettiva.