Le banche centrali sono la soluzione o la causa del problema?

Per lungo tempo è stato sostenuto dalla Fed e altre banche centrali, a cominciare dalla Bce, che l’inflazione sarebbe stata transitoria, circostanza poi ampiamente smentita dall’evidenza empirica.

Le banche centrali sono la soluzione o la causa del problema?

Un recente rapporto della Federal Reserve degli Stati Uniti sugli eventi che hanno portato al fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) è sorprendentemente autocritico, dettagliato e informativo. Pur sottolineando che SVB non ha gestito i suoi rischi in modo appropriato, il rapporto rimprovera anche le autorità di vigilanza (che sono in capo alla Fed stessa) per non aver valutato le crescenti vulnerabilità di SVB o per averle spinte a risolverle.

Ma il rapporto non affronta una questione cruciale, ovvero la politica monetaria della Fed in un contesto in cui SVB non era l’unica mela marcia. Quattro banche statunitensi sono fallite più o meno nello stesso periodo, in gran parte perché avevano investito in obbligazioni e prestiti a lungo termine a tasso fisso a basso rendimento (in una fase in cui i tassi hanno subito un brusco rialzo).

La politica monetaria potrebbe essere la forza sistemica che ha generato la vulnerabilità sistemica? L’ex Ceo di SVB, Greg Becker, sembra pensarla così. “Il messaggio inviato dalla Federal Reserve era che i tassi di interesse sarebbero rimasti bassi e che l’inflazione, che stava intanto iniziando a salire, sarebbe stata solo transitoria”, ha spiegato in una dichiarazione preparata per un’audizione al Senato degli Stati Uniti nel mese di maggio. In effetti, tra l’inizio del 2020 e la fine del 2021, le banche statunitensi hanno acquistato cumulativamente quasi 2,3 trilioni di dollari di titoli a basso rendimento.

Naturalmente, non sorprende che Becker dia la colpa a qualcun altro. Ma è altrettanto vero che per lungo tempo è stato sostenuto dalla Fed e altre banche centrali, a cominciare dalla Bce, che l’inflazione sarebbe stata transitoria, circostanza poi ampiamente smentita dall’evidenza empirica, ignorando il rischio che i tassi di interesse a lungo dormienti potessero aumentare. E le autorità di vigilanza si sono dimostrate incapaci di gestire i rischi creati dalle politiche monetarie ultra-accomodanti.

Al momento la situazione resta complessa. Sebbene la Fed insista sul fatto di essere concentrata sulla lotta all’inflazione, sa che ulteriori rialzi dei tassi spingerebbero più correntisti a richiedere tassi di interesse di mercato (in pratica più alti), facendo lievitare in modo sproporzionato i costi di finanziamento delle banche e creando dei buchi nei bilanci di alcune banche. Allo stesso tempo, se la Fed interrompesse i suoi rialzi dei tassi, l’inflazione potrebbe aumentare di nuovo, incrementando i tassi a lungo termine e quindi riducendo il valore delle attività bancarie. In entrambi i casi, al centro c’è la stabilità finanziaria: la Fed non potrà non tenerne conto.

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