La Bce non stacca la spina ma riduce il flusso di corrente

La Banca centrale europea non azzera il programma Pepp (di acquisto titoli) ma proseguirà a un ritmo più lento di quello seguito nel secondo e nel terzo trimestre

La Bce non stacca la spina ma riduce il flusso di corrente
Christine Lagarde

La Banca centrale europea rallenta gli acquisti di titoli. Le condizioni di finanziamento, che rappresentano in questa fase la bussola della politica monetaria di Eurolandia, potranno essere mantenute a un livello appropriato con un ritmo di acquisti netti di titoli più lento di quello realizzato nel secondo e nel terzo trimestre, quando invece la Bce aveva ritenuto necessario accelerarli rispetto al primo trimestre 2021. La decisione era attesa dai mercati. Soprattutto, non è un tapering, un programma di azzeramento che avrebbe preoccupato i mercati.

“Il lavoro non è finito”, ha spiegato in ogni caso Lagarde (riferendosi ovviamente all’obiettivo prioritario di inflazione), e questo spiega perché non è stato annunciato un tapering. Le pressioni sui prezzi, al di là dei fattori temporanei, stanno aumentando solo gradualmente. La ripresa è risultata più forte del previsto, anche se richiede ancora un ampio stimolo monetario e fiscale, visto che Eurolandia non è ancora tornata ai livelli pre-crisi e ancora due milioni di posti di lavoro mancano all’appello. Le nuove proiezioni indicano una crescita del pil del 5% quest’anno, del 4,6% il prossimo e del 2,1% nel 2023.

La dinamica dell’inflazione, inoltre, consente di mantenere una politica monetaria ultraespansiva. L’incremento dell’inflazione è puramente temporaneo e la dinamica dei prezzi tornerà presto sotto tono, così come lontani dall’obiettivo del 2% sono le aspettative di inflazione di lungo periodo. Pur riviste al rialzo, le proiezioni puntano a un’inflazione media del 2,2% quest’anno, dell’1,7% nel 2022, e dell’1,5% nel 2023. L’inflazione core, che esclude energia e alimentari, potrà essere pari all’1,3% quest’anno, all’1,4% nel 2022 e all’1,5% nel 2022.

La Bce non vede inoltre, all’orizzonte, i temuti ‘second round effects’ che possono derivare da aumenti dei prezzi legati all’offerta, come quelli attuali, generati soprattutto dalle strozzature nelle forniture.

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