Inflazione, la spirale prezzi-salari è un rischio da non sopravvalutare (in questo caso)

Il caso francese. A differenza degli anni ‘70, l’aumento dei salari oggi non alimenterebbe necessariamente l’incremento dei prezzi. E, per evitare tale rischio, basterebbe bloccare alcune tariffe

La spirale prezzi-salari è un rischio da non sopravvalutare

“La crescita dei salari (...) ha iniziato a prendere piede”, ha spiegato Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, lo scorso 9 giugno, quando ha annunciato il cambio di rotta nella politica monetaria per combattere l’inflazione. Un fenomeno, quello della spirale prezzi-salari temuto soprattutto da banchieri centrali e dai governi, ancora bruciati dal ricordo di quanto avvenuto negli anni ‘70. All’epoca, erano gli anni dello shock petrolifero, le retribuzioni erano indicizzate al livello dei prezzi al consumo (il meccanismo definito in Italia ‘scala mobile’). Per finanziare questi aumenti salariali, le aziende hanno di fatto alimentato l’inflazione. Nell’esperienza francese questo meccanismo è andato avanti fino al 1982: da quel momento la rivalutazione dei salari non è stata più automatica.

Quarant’anni dopo, il timore di allora non sembra preoccupare la Francia. Mentre l’inflazione ha raggiunto a maggio il 5,2% su base annuale (dunque molto meno di Germania e Italia ad esempio, in virtù di una minore dipendenza di Parigi da Mosca inferiore rispetto a Berlino e Roma), i salari dovrebbero aumentare del 3,6%, secondo i calcoli dell'Osservatorio francese delle condizioni economiche (Ofce). Nell’Eurozona si va verso “una crescita salariale di circa il 3% nel 2022 e del 2,5% nel 2023”, secondo Philip Lane, capo economista della Bce .

“In questa fase è davvero prematuro parlare (in Francia, ndr) di un anello prezzo-salario”, spiega a Le Monde Julien Marcilly, capo economista di Global Sovereign Advisory. Tanto più che il contesto macroeconomico è cambiato notevolmente rispetto agli anni ‘70. In primo luogo, le banche centrali oggi, nel perseguire il loro obiettivo sui prezzi al consumo, hanno più potere di allora. Inoltre, il settore dei servizi, che subisce l’inflazione meno dell’industria, pesa ben più di quattro decenni fa nell’economia francese. Infine, dopo un lungo periodo di piena occupazione e crescita, i lavoratori hanno avuto all’epoca più spazio di negoziazione rispetto ad oggi con i datori di lavoro per migliorare la propria retribuzione.

In sintesi, la paventata spirale prezzi-salari non sembra preoccupare la Francia, dove ad essere indicizzati all’inflazione sono il salario minimo e le pensioni (anche se queste ultime sono da alcuni anni congelate). E se proprio si vuole evitare di correre il rischio (ciò vale anche per gli altri paesi), una soluzione potrebbe essere quella di bloccare alcune tariffe, soprattutto quelle connesse ai consumi domestici, piuttosto che bloccare i salari.

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