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Nel primo semestre del 2025, l’US Dollar Index – l’indicatore che misura il valore del dollaro rispetto a un paniere di valute tra cui euro, sterlina e yen – è sceso da 108 a 97 punti, registrando una perdita di quasi l’11%. È la peggiore performance semestrale dal 1973, anno della fine del gold exchange standard.
Crollo continuo, nessun segnale di ripresa
La flessione è stata progressiva e costante, con un’accelerazione tra marzo e aprile. E nei mesi successivi non si è intravisto alcun rimbalzo. Segno evidente di una perdita di fiducia generalizzata verso il dollaro e verso l’economia americana nel suo complesso.
Il fattore Trump: tra dazi e incertezza
A innescare il crollo è stato anche il ritorno delle politiche aggressive di Donald Trump: dazi imposti e poi ritirati, minacce commerciali, e un clima di confusione. Le promesse di tagli fiscali non coperti da tagli alla spesa pubblica hanno alimentato i timori su un debito pubblico fuori controllo, allontanando investitori e mercati.
Effetti sull’economia reale: più export, meno fiducia
Un dollaro debole può favorire le esportazioni rendendo i prodotti statunitensi più competitivi all’estero. Ma allo stesso tempo rappresenta un segnale allarmante per l’attrattività degli Usa: meno fiducia, meno investimenti stranieri, più rischio per la stabilità finanziaria.
Il dollaro resta dominante, ma per quanto ancora?
Nonostante tutto, il dollaro rimane la valuta di riferimento a livello globale. Ma questo scivolone mostra come la leadership monetaria non sia più scontata. In un mondo sempre più multipolare, la fiducia è l’unico vero capitale che conta. E oggi, per il dollaro, sembra vacillare.