
Quando si parla di intelligenza artificiale si pensa subito a Stati Uniti, Cina o all’Europa che prova a regolamentarla. Ma i veri riflettori ora sono puntati sull’India: 900 milioni di utenti connessi, un regime normativo flessibile e una platea giovane e digitale. Non a caso OpenAI ha già lanciato una versione low-cost del suo chatbot dedicata agli indiani.
Big Tech a caccia di utenti
Sam Altman, cofondatore di OpenAI, definisce l’adozione dell’AI in India "senza paragoni". La sua azienda aprirà un ufficio a Nuova Delhi e valuta un maxi data center nel Paese. Microsoft ha annunciato investimenti per 3 miliardi di dollari, mentre Google e Meta hanno siglato un accordo con Reliance Industries, il colosso guidato da Mukesh Ambani, per costruire infrastrutture dedicate.
Strategia: prima utenti, poi profitti
In India i prezzi bassi non sono un problema ma una strategia. Conquistare milioni di persone significa ottenere dati, query e comportamenti preziosi per addestrare i modelli. È una corsa al dominio simile a quella che, in passato, ha reso Big Tech leader globali.
Opportunità e rischi
Per le aziende indiane l’AI può accelerare lo sviluppo economico e abbattere sacche di povertà, ma molti temono una dipendenza eccessiva dalle piattaforme americane. Trump, con i suoi dazi, ha già complicato i rapporti commerciali, e non mancano i dubbi sull’impatto sulle startup locali, spesso soffocate dal peso dei colossi globali.
India protagonista della rivoluzione
Altman resta ottimista: l’India può diventare uno dei leader mondiali nell’intelligenza artificiale. La vera domanda è se il Paese saprà limitarsi a essere il più grande bacino di utenti o se riuscirà a sviluppare una tecnologia tutta sua.