Il mercato globale è a trazione cinese

Pechino è il maggior produttore mondiale di auto. Ora mira a diventarne anche il primo esportatore, specie di veicoli elettrici. Un problema soprattutto per i marchi tedeschi che hanno aumentare il loro potere commerciale proprio attraverso le vendite in Cina a partire dagli ’80. La Cina che non può più essere considerata come la ‘fabbrica del mondo’ di beni di consumo a basso costo. Le aziende cinesi stanno gradualmente risalendo la catena del valore nella produzione.

Il mercato globale è a trazione cinese

La Cina non è più soltanto il primo mercato mondiale di produzione e vendita del settore automotive. Sta rapidamente diventando il principale esportatore. La dinamica in atto segnala un aumento della quota di auto prodotte in Cina sul totale globale sia in termini di vetture occidentali che escono sempre di più dalle fabbriche nella Repubblica popolare, sia come crescita dei produttori cinesi, specialmente per quanto riguarda i modelli con alimentazione elettrica.

Ma, se fino alla pandemia questa competizione riguardava soltanto il mercato domestico cinese che da solo vale un terzo di quello mondiale, oggi la produzione cinese non viene più assorbita da un mercato interno ormai maturo e si sta riversando nei mercati internazionali.

BYD - primo produttore di veicoli in Cina, di cui anche Berkshire Hathaway, la holding dello statunitense Warren Buffet, ha una quota nel capitale azionario di poco più del 10% - è diventato nel 2022 il più grande venditore al mondo di automobili elettriche e ibridi plug-in con 1,86 milioni di veicoli venduti (rispetto ai 1,3 mln di Tesla).

Certo la quasi totalità delle vendite di BYD sono relative al mercato interno. Tuttavia, sempre più veicoli prodotti in Cina stanno arrivando anche sui mercati esteri. Le esportazioni di automobili da parte della Cina sono ora appena inferiori a quelle della Germania. Il gigante asiatico è  pertanto in procinto di diventare il secondo esportatore mondiale di autoveicoli (dietro al Giappone).

Inoltre, lo sviluppo della catena di approvvigionamento in Cina ha tenuto il passo con la produzione. Le aziende nazionali ora producono quasi tutte le parti, comprese quelle che importavano fino a circa un decennio fa, come l’acciaio ad alta resistenza e la fibra di vetro rinforzata.

A ciò si aggiunga che - nonostante i costi di produzione siano nettamente inferiori nella seconda economia al mondo - le auto cinesi superano ormai con facilità i test europei sulla sicurezza. Le dure limitazioni imposte da Pechino sull’inquinamento atmosferico hanno poi aiutato la maggior parte delle case produttrici del Dragone a soddisfare gli standard comunitari sulle emissioni.

BYD è nel frattempo sbarcata in sette Paesi europei: l’obiettivo è raggiungere un totale annuo di 3 milioni di veicoli venduti entro il 2025. Un altro dei principali produttori cinesi, Xpeng, ha annunciato la scorsa settimana il lancio di due nuovi modelli (il SUV G9 e la berlina P7) nel Vecchio Continente, aprendo gli ordini in Danimarca, Svezia, Norvegia e Paesi Bassi. I prossimi passi auspicati dai produttori cinesi sono l’apertura di stabilimenti direttamente in Europa.

Quanto sta accadendo nel settore automotive sembra suggerire ai paesi europei di cambiare l’approccio verso la Cina che non può più essere considerata come la ‘fabbrica del mondo’ di beni di consumo a basso costo. Passando a prodotti più complessi e sofisticati per mercati competitivi e altamente regolamentati, le aziende cinesi stanno gradualmente risalendo la catena del valore nella produzione. L’Economic Complexity Index compilato dal Growth Lab dell’Università di Harvard, che analizza la gamma in termini di diversità e complessità dei prodotti esportati da un Paese, colloca la Cina al 17° posto nel mondo, dal 24° posto del 2010 e dal 39° del 2000. Una galoppata che sembra inarrestabile.

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