Resa dei conti, i tre big tedeschi dell’auto da Trump. Scongiurati i dazi Usa del 25%?

L'obiettivo dell'incontro di martedì scorso era quello di evitare l'introduzione delle tariffe sulle auto minacciate dagli Stati Uniti. Missione compiuta?

Resa dei conti, i tre big tedeschi dell’auto da Trump

È stata una sconfitta o una vittoria per i colossi tedeschi dell’auto? I vertici dei primi tre produttori della Germania sono andati a Washington martedì per incontrare Donald Trump (ancora irritato per i licenziamenti annunciati da General Motors), che sta valutando se introdurre dazi del 25% sulle auto importate negli Usa. Sarebbe un salasso per l’intero settore metalmeccanico che rappresenta la spina dorsale dell'industria tedesca ed europea.

I 3 big tedeschi dell’auto - Volkswagen, Daimler e Bmw - hanno spiegato al presidente Usa di esser cambiati. E dicono ora di voler spostare parte della produzione negli Stati Uniti.

"Il presidente degli Stati Uniti ci ha consigliato di investire di più nel mercato statunitense. Siamo pronti a fare esattamente questo", ha detto il ceo di VW, Herbert Diess. Che, poi, prova a passare alla pratica: “Siamo in negoziati avanzati con Ford per costruire un'alleanza automobilistica globale, che rafforzerà anche l'industria americana". L’ad di VW ha, poi, aggiunto che la società potrebbe usare le capacità produttive del Gruppo Ford e che sta considerando di realizzare un secondo impianto negli Stati Uniti. Volkswagen d'altra parte ha già un impianto di assemblaggio a Chattanooga, nel Tennessee, dove sono occupati 3.500 lavoratori (con ulteriori 1.000 assunzioni previste a partire da gennaio 2019).

Daimler ha provveduto a espandere l'impianto che possiede in Alabama, dove impiega 4.000 persone.

Anche Bmw si è mostrata attiva: ha in programma la costruzione di una nuova fabbrica negli Usa destinata alla produzione dei motori, oltre alla grande struttura che già gestisce in South Carolina dove lavorano 9.000 addetti e 12.000 nell'indotto. Anche in questo caso sono previsti piani di espansione: più investimenti e più assunzioni.

Dopotutto, i costruttori tedeschi di auto complessivamente hanno già una forza lavoro di 118.000 addetti soltanto negli Stati Uniti. E possono vantarsi di contribuire alla riduzione del deficit commerciale degli Usa verso Pechino, in virtù del fatto che 1/5 delle auto realizzate nella prima economia al mondo sono poi esportate in Cina, dove Volkswagen vende il 44% delle proprie auto rispetto al 6,2% negli Stati Uniti. Daimler, rispettivamente, 26 e 14%, e Bmw 24 e 14%.

Da parte sua, Trump sta tentando di colmare un gap di 30 miliardi di dollari di deficit commerciale con l’Ue nel comparto auto rispetto al complessivo surplus di 65 mld che Bruxelles può vantare nei confronti di Washington. E attualmente sono imposti dazi del 2,5% sulle auto europee che entrano negli Stati Uniti. Quelle che viaggiano in direzione contraria (dagli Usa verso l’Ue) sono sottoposte a tariffe del 10%. Per Trump tutto ciò è semplicemente ingiusto. La situazione è diversa con camion e pick-up, che sono invece soggetti a dazi all'importazione del 25% negli Stati Uniti, rispetto al 14% nell'Ue.

Questi dati fanno riflettere. Ciò che i dirigenti tedeschi hanno raccontato a Trump era ciò che il presidente Usa voleva sentirsi dire? Gli investimenti promessi non sono poi così elevati: saranno sufficienti per placare le sue ire? Solo in questo caso l’incontro di Washington sarà stato un successo per il comparto automotive tedesco ed europeo.

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