Paesi liberali che attuano politiche protezioniste

L’Europa, al contrario di Stati Uniti e Regno unito, si è affidata ai principi del libero scambio e al rispetto dei contratti

Paesi liberali che attuano politiche protezioniste

A fine marzo la Cina è stata il maggior produttore mondiale di vaccini Covid-19 con oltre 230 milioni di dosi, seguita dagli Stati Uniti, dall’Europa e dall’India con rispettivamente 190, 141 e 131 mln. Più distante il Regno Unito con 21 mln di dosi fabbricate. Non si hanno invece informazioni precise sulla produzione dello Sputnik V.

“Quello che appare tuttavia più sorprendente è che mentre la Cina, l’Europa e l’India hanno esportato circa la metà della loro produzione (per la precisione il 50, 43 e 42%), gli Stati Uniti hanno inviato solo 30 mln di dosi in Canada e neppure una fiala è uscita dalla Gran Bretagna, che invece ne ha importate qualche milione – evidenziano Andrea Boitani e Rony Hamaui -. Così gli stati con una più forte tradizione liberista, che diedero i natali ad Adam Smith, David Ricardo e Milton Friedman, hanno anteposto gli interessi nazionali e si sono dimostrati decisamente mercantilisti. In questo ambito, poi, l’America di Joe Biden non sembra molto diversa da quella trumpiana nel seguire il principio ‘America first’. In ogni modo, il protezionismo anglosassone sta raccogliendo non solo ottimi risultati economico-sanitari, ma anche ampi consensi politici. Tutto ciò ha convinto l’India di Narendra Modi a seguirne l’esempio e a interrompere le esportazioni, fino a quando il tasso di contagio nel paese non si ridurrà.”

Il discorso cambia per Cina e Russia, che hanno fatto della vendita dei vaccini all’estero un importante strumento politico e di propaganda in molti paesi emergenti. I vaccini anti-Covid sviluppati dai laboratori cinesi Sinopharm e Sinovac e russi Gamaleya, anche se non hanno avuto l’autorizzazione delle autorità competenti dei paesi avanzati, sono di fatto gli unici disponibili in molti paesi sud-americani, asiatici, e africani.

In questo contesto, “l’Europa appare debole, incerta, apaticamente legata ai principi del libero scambio e al rispetto dei contratti – sottolineano Boitani e Hamaui -. Mentre la Commissione europea si è legata le mani con le case produttrici utilizzando il principio del ‘best effort’, gli inglesi hanno imposto vincoli ben più stringenti. Anche l’accordo raggiunto con la Gran Bretagna dal presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen non va al di là del principio della reciprocità. Ancora una volta, le contrapposizioni fra paesi più interventisti, quali l’Italia di Mario Draghi e quelli più liberisti, che temono ritorsioni sulla supply-chain, hanno di fatto finora impedito sia il blocco delle esportazioni sia una vera strategia di cooperazione con alcuni paesi ‘amici’. Più di recente la Francia ha dichiarato di essere pronta a produrre “sul suo territorio” 250 milioni di vaccini Moderna, Pfizer e Johnson e nella stessa direzione si sta muovendo, anche se con maggior ritardo, l’Italia. Tuttavia, non è chiaro se tali dosi saranno messe a fattor comune o riservate ai diversi stati produttori, con spirito del tutto revanscista.”

Le marcate differenze tra Ue e Stati Uniti in termini di commercio dei vaccini trovano alcune analogie se si guarda ai finanziamenti pubblici alla ricerca. Solo a giugno 2020 l’Ue ha deciso di contribuire al finanziamento allo sviluppo dei vaccini, attraverso i cosiddetti accordi di acquisto anticipato (advance purchase agreements), pari a un’ampia ma imprecisata quota dei 2,7 miliardi di euro dell’Emergency Support Instrument, creato per fronteggiare la pandemia in modo coordinato. Molto diversa la situazione sul fronte statunitense. “Bisogna riconoscere all’amministrazione Trump, nonostante i numerosi proclami negazionisti, la decisione di finanziare in maniera risoluta la ricerca sin dai primi stadi – rilevano Boitani e Hamaui -. Facendo le somme di quanto è noto, si arriva ad acquisti anticipati e altri finanziamenti pari a oltre 5,72 miliardi di dollari, vale a dire circa il doppio del massimo teoricamente spendibile dall’Ue. Di nuovo, il paese teoricamente più liberista non ha esitato a fare quanto rientra nella sua tradizione: spendere tantissimi soldi pubblici per la ricerca. Allora, non è forse un caso che gli Usa detengano tre dei quattro brevetti sui vaccini oggi ammessi nei paesi occidentali e che il quarto sia in mano britanniche.”

Il che ci ricorda che “siamo ancora molto lontani da un mondo in cui siano tutti convinti che nessuno è al sicuro, finché non lo siamo tutti”. È l’amara conclusione di Boitani e Hamaui.

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