In 143 paesi (che contano l’85% della popolazione mondiale) sarà tagliata la spesa pubblica

Incombe una nuova pandemia. I governi tornano così alle collaudate politiche restrittive del passato, piuttosto che esplorare mezzi alternativi per creare spazio fiscale. A meno che questo contagio politico non venga contenuto, i prossimi anni rischiano di essere ancora più dolorosi dell’era successiva alla crisi finanziaria del 2008.

In 143 paesi sarà tagliata la spesa pubblica

Il mondo sta affrontando crisi multiple e complesse: L’elenco è piuttosto lungo: Covid-19, energia, inflazione, debito e shock climatici. Ci sarebbe bisogno di un’azione politica ambiziosa. Invece, il ritorno di politiche fallimentari come l’austerità, ora ridenominata sotto la forma apparentemente meno dura di ‘consolidamento fiscale’, rischia di esacerbare l’instabilità macroeconomica e le difficoltà quotidiane che miliardi di persone devono affrontare. A meno che non si cambi rapidamente rotta, una ‘pandemia di austerità’ renderà la ripresa economica globale ancora più difficile. È la tesi (realistica) avanzata da Isabel Ortiz (studiosa con un curriculum importante) e Matteo Cummins.

L’incombente ondata di austerità sarà infatti ancora più pesante di quella che seguì la crisi finanziaria globale del 2008. Un’analisi delle proiezioni di spesa dell’Fmi indica che, nel 2023, in 143 paesi sarà tagliata la spesa pubblica (in percentuale del Pil), interessando oltre 6,7 miliardi di persone, ovvero l’85% della popolazione mondiale. In realtà, la maggior parte dei governi ha iniziato a ridurre la spesa pubblica nel 2021 (per un ammontare medio pari al -3,5% del Pil) e si prevede che il numero di paesi che daranno una sforbiciata ai bilanci pubblici aumenterà fino al 2025.

Un fatto ancora più preoccupante è che più di 50 Stati stanno adottando tagli eccessivi, il che significa che la loro spesa è scesa al di sotto dei livelli pre-pandemici (che peraltro erano già bassi). Tra questi paesi figurano Guinea Equatoriale, Eswatini, Guyana, Liberia, Libia, Sudan, Suriname e Yemen, le cui aspettative di sviluppo non sono evidentemente ancora oggi soddisfatte.

Dati che sottolineano come l’austerità sia ancora fra noi. I governi tornano così alle collaudate politiche restrittive del passato - evidenziano i due autori - piuttosto che esplorare mezzi alternativi per creare spazio fiscale (che eppure ci sarebbero). A meno che questo contagio politico non venga contenuto, i prossimi anni rischiano di essere  ancora più dolorosi dell’era successiva alla crisi finanziaria del 2008.

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