
Da tempo l’Unione Europea arranca dietro Stati Uniti e Cina sul fronte dell’innovazione. Il Rapporto Draghi, presentato nel 2024 per rilanciare la competitività europea, parte da un dato allarmante: il reddito pro capite cresce meno che altrove perché mancano investimenti in ricerca, tecnologia e sviluppo. Ma secondo gli economisti Mazzucato e Lundvall, il piano Draghi — pur ambizioso — non affronta davvero il cuore del problema.
Investire sì, ma con una missione
Draghi propone di aumentare gli investimenti annuali dell’Ue di 750-800 miliardi di euro, circa il 4,5% del Pil. Tuttavia, l’obiettivo non deve essere solo spendere di più: bisogna farlo meglio. Non serve un’Europa che “aggiusta” il mercato, ma che lo guida. Serve una politica industriale che indirizzi gli investimenti verso sfide comuni: transizione ecologica, inclusione sociale, leadership tecnologica.
Deregolamentare? Attenzione all’equivoco
Uno dei punti forti del rapporto è la proposta di semplificare la regolazione, con un vicepresidente dell’Ue dedicato. Ma attenzione: meno regole non significa più crescita. Una buona regolazione può anzi stimolare l’innovazione. È la qualità delle norme, non la loro quantità, a fare la differenza.
Capacità pubblica: il grande assente
Manca nel documento una riflessione chiave: come rafforzare lo Stato? La capacità dello Stato di guidare innovazione e risposta alle crisi dipende da investimenti di lungo periodo nel settore pubblico. Senza risorse, competenze e visione strategica, anche i piani più ambiziosi restano sulla carta.
Il nodo digitale: sovranità cercasi
Il cuore della sfida è la tecnologia. L’Europa dipende per l’80% da infrastrutture digitali importate e per il 70% da modelli di IA sviluppati altrove. La Cina ha colmato il divario con gli Usa grazie a investimenti mirati e protezione dei suoi campioni nazionali. L’Ue può fare lo stesso, ma serve coraggio politico e una nuova visione.
EuroStack: una via europea al digitale
Una proposta concreta c’è: il progetto EuroStack, con 300 miliardi di euro in dieci anni, punta a costruire un ecosistema digitale sovrano europeo. Ma senza un “firewall” che limiti il dominio dei big tech stranieri, rischia di essere un’autostrada per gli altri. Servono regole che favoriscano le aziende europee, impediscano acquisizioni ostili e impongano la condivisione tecnologica come condizione d’accesso al mercato.
Non c’è sovranità senza autonomia tecnologica
L’Europa ha alcune eccellenze (Asml, Sap, Mistral) e una solida base scientifica. Ma per non diventare colonia digitale serve una strategia chiara: più antitrust, meno dipendenza da Google, Meta, Amazon. E magari joint venture obbligatorie per chi vuole operare nel mercato europeo. Come ha fatto la Cina, con risultati visibili.
Draghi ha acceso il faro, ora serve la bussola
Il Rapporto Draghi è un punto di partenza, non di arrivo. Più investimenti? Sì. Meno burocrazia? Forse. Ma la vera svolta sarà politica: uno Stato che guida, protegge e innova. Perché senza un’Europa digitale sovrana, non ci sarà nessuna Europa davvero sovrana.
(sintesi di un articolo firmato da Mariana Mazzuccato e Bengt-Ake Lundvall per Project Syndicate)