
La settimana scorsa la Grecia si è fermata per un giorno. Treni, autobus, traghetti, scuole e ospedali si sono uniti allo sciopero generale indetto dai sindacati Gsee, Adedy e Pame contro la nuova riforma del lavoro voluta dal premier conservatore Kyriakos Mitsotakis. La misura consente ai dipendenti di lavorare fino a 13 ore al giorno per lo stesso datore, e prevede l’innalzamento dell’età pensionabile fino a 74 anni.
“È una scelta volontaria”, dice il governo
Per l’esecutivo greco, si tratta di un provvedimento “flessibile” che permetterebbe ai lavoratori di aumentare le ore e il reddito, ma solo “su base volontaria” e per un massimo di 37 giorni all’anno. Il premier difende la riforma: “Molti giovani vogliono lavorare di più per guadagnare di più. Diamo libertà di scelta, non è antisociale”.
I sindacati: “Un attacco ai diritti e alla salute”
Le sigle sindacali non ci stanno. “La legge distrugge ogni equilibrio tra vita e lavoro e mette a rischio la sicurezza dei lavoratori”, denuncia la Gsee.
La riforma, secondo i rappresentanti dei lavoratori, elimina il diritto al riposo minimo giornaliero di 11 ore, introduce la settimana di sei giorni e rende più facile licenziare senza preavviso nei primi mesi di contratto. Previsti anche multe fino a 5.000 euro e sei mesi di carcere per chi partecipa ai picchetti.
Salari bassi, vita cara: la tensione sociale sale
Nonostante la crescita economica (+2,3% nel 2024) e il miglioramento del rating del debito pubblico, la Grecia resta uno dei Paesi dell’UE con i salari più bassi. A fronte di un costo della vita in aumento, la riforma viene così vista come l’ennesimo sacrificio imposto alla classe lavoratrice, dopo anni di austerità e crisi economica.
Nuovo sfruttamento(?)
Il dibattito divide il Paese: per il governo è “modernizzazione”, per i sindacati è “un ritorno indietro di 50 anni”. Nel frattempo, Atene vive una nuova stagione di proteste che ricorda quella degli anni della Troika: piazze piene, lavoratori stremati e un futuro sempre più incerto.