
Alla vigilia del Capodanno etiope, il premier Abiy Ahmed ha inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), la più grande diga idroelettrica dell’Africa. Dopo 14 anni di lavori sul Nilo Azzurro, il Paese punta a garantire elettricità a milioni di cittadini ancora esclusi dalla rete e a spingere lo sviluppo economico nazionale.
Una sfida geopolitica senza precedenti
La Gerd non è solo energia: è potere. La sua costruzione, guidata dall’italiana Webuild, ha incrinato i rapporti con Egitto e Sudan, che accusano l’Etiopia di aver agito unilateralmente. Intanto, Paesi come il Kenya firmano già accordi per acquistare elettricità da Addis Abeba, mentre Il Cairo teme un calo della portata del Nilo.
Finanziata dal popolo, non dai colossi
Costata 5 miliardi di dollari, la Gerd è stata finanziata soprattutto da cittadini etiopi, inclusa la diaspora: titoli di Stato, donazioni e sacrifici individuali hanno sostituito i fondi di Banca Mondiale e investitori privati, frenati dalle pressioni egiziane. Una mobilitazione paragonata alla storica vittoria di Adua del 1896.
Simbolo di orgoglio e unità nazionale
Dietro cerimonie e fuochi d’artificio, la diga ha rafforzato un raro senso di unità in un Paese segnato da divisioni etniche e recenti conflitti. Per molti etiopi, non è solo una centrale: è il simbolo di un futuro autonomo, dignitoso e luminoso.
L’inizio di una nuova partita
Con la Gerd ormai realtà, la “geopolitica dell’acqua” nel Corno d’Africa entra in una fase delicata. L’Egitto, storicamente dominatore del Nilo, vede affievolirsi la sua influenza. “Il Cairo ha perso il suo accesso privilegiato”, nota l’analista Rashid Abdi. L’Etiopia, invece, vuole mostrarsi come nuova potenza regionale.