È in Cile il cimitero della moda mondiale

Nel deserto di Atacama la discarica dei record dove tutto si crea ma niente si distrugge

È in Cile il cimitero della moda mondiale

In bilico tra l’Oceano e le Ande c’è un’infinita distesa di rocce, il territorio più arido al mondo, eppure capace di fiorire, ogni anno, in un’esplosione di porpora acceso. Non sono, però, le celebri rose a ricoprire ora, per chilometri, il deserto di Atacama, nel Nord del Cile. Bensì una coltre spessa di stoffa multicolore.

Magliette, pantaloni, gonne, cappelli sparsi alla rinfusa tra le dune o accumulati in bizzarre montagne di tessuto. Decine di migliaia di abiti nati dall’industria della moda ‘fast fashion’, dove tutto si crea a ciclo continuo ma niente si distrugge. Semplicemente si scarta e si accumula in punti remoti del pianeta.

Una discarica illegale, ufficialmente. Eppure tutti la conoscono. Atacama è la destinazione finale delle centinaia di migliaia di abiti usati confezionati a basso costo nelle fabbriche-pollaio dell’Asia per rifornire i negozi di Stati Uniti ed Europa.

Gli abiti, a bordo di navi container, raggiungono Iquique, il principale porto d’entrata del tessile dell’America Latina. A differenza del resto del Continente che lo vieta per ragioni sanitarie o di protezione delle aziende locali, il Cile, insieme al Guatemala, è l’unico a importare roba usata in gran quantità.

Solo nel 2021, per lo scalo, ne sono passate 59 mila tonnellate. Un dato in linea con la media annuale. Oltre i due terzi – circa 39 mila tonnellate – restano invenduti. Ma tanto c’è il buco nero di Atacama. Le autorità cilene chiudono un occhio quando questi vengono abbandonati dove si può fingere di non vederli. Atacama, così, si è trasformato nel nascondiglio a cielo aperto perfetto.

L’Onu, peraltro, aveva già lanciato l’allarme due anni fa: la fabbricazione di abiti è raddoppiata tra il 2000 e il 2014. Secondo alcuni esperti, ciò è dovuto al progressivo abbassamento dei costi di produzione. Una notizia tutt’altro che positiva: sia per la manodopera, sia per l’ambiente. L’industria tessile impiega almeno il 20% di sostanze chimiche del globo e consuma il 20% dell’acqua. Alla produzione di indumenti e calzature, inoltre, si deve l’8% delle emissioni attuali.

A questo si aggiunge il dramma dei rifiuti dato che, secondo un recente studio di Mohd Yusuf, tre quinti del totale viene buttato entro un anno dall’acquisto. A un prezzo molto salato per il Cile e il mondo intero.

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