La rete Tim finisce nelle mani degli “amici” americani

Tim ha dato il via libera all’offerta di Kkr senza assemblea per l’asset srategico: continuerà a fare il suo mestiere, anche se la rete non sarà più di sua proprietà bensì in “affitto”. Francia e Germania si sono regolate diversamente

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Alla fine, come “quoted business” aveva anticipato nei giorni scorsi, la vendita è stata messa nero su bianco: la rete fissa Tim passa al fondo americano KKR per 22 miliardi dopo la sciagurata privatizzazione della Telecom nel 1998 che dette luogo, poi, al più grande scandalo dell’Italia unitaria con 14 mila miliardi di plusvalenza in soli 30 mesi per chi aveva comprato la Seat pagine gialle.

Ebbene la conclusione tragica di quella operazione è la definitiva vendita agli amici americani della rete fissa della Tim-Telecom, immaginando che una eventuale presenza del Tesoro italiano con il 20 per cento possa tutelare gli interessi nazionali.

Ma così han fatto i francesi e i tedeschi con le proprie società di telecomunicazioni e le relative reti di trasmissioni? Ovviamente, no.

La rete Tim finisce nelle mani degli “amici” americani

Il cda di Tim - comunica una nota ufficiale della società - ha accettato l’offerta vincolante di Kkr per la rete, valorizzata fino a 22 miliardi se si realizzerà la “rete unica” tramite la fusione con l’infrastruttura di Open Fiber. Il consiglio ha votato con la maggioranza di 11 amministratori favorevoli e 3 contrari, assente solo Giovanni Gorno Tempini, presidente di Cdp.

Con la stessa maggioranza - 11 sì e 3 no (Cristiana Falcone, Giulio Gallazzi, Marella Moretti) - il consiglio Tim ha altresì deliberato che “la decisione sull’offerta è di esclusiva competenza consiliare”. Questo sulla base dei “pareri forniti dai professori Piergaetano e Carlo Marchetti, Andrea Zoppini, Giuseppe Portale, Antonio Cetra, Claudio Frigeni e dall’avvocato Luca Purpura”. Nessuna assemblea, dunque, né straordinaria, né ordinaria, né meramente consultiva.  

Secondo i pareri raccolti, l’operazione non comporterebbe la modifica dello statuto sociale, che comporterebbe il passaggio da un’assemblea straordinaria con relativo diritto di recesso per i soci dissenzienti. Tim continuerebbe a fare il suo mestiere, anche se la rete non sarà più di sua proprietà bensì in “affitto”. Continuerebbe ad operare come operatore di rete mobile e gestirebbe attività di rete fissa.

Di parere completamente opposto è l’azionista francese Vivendi, socio al 23,75 per cento, forte di altri pareri legali sulla necessità che sulla cessione dell’infrastruttura si pronunci un’assemblea, straordinaria o ordinaria. L’assemblea ordinaria sarebbe d’obbligo se il Mef, che ha prenotato il 20 per cento della Netco della rete a fianco di Kkr, venisse riconosciuto come parte correlata.

Per Vivendi invece il Mef è da considerare parte correlata, come scritto in una lettera inviata alla società e per conoscenza alla Consob lunedì 30 ottobre. In un’altra lettera sempre di Vivendi, ma che porta la data del primo novembre, si chiede anche di esaminare il piano alternativo proposto dal fondo Merlyn, che prevede la cessione non della rete bensì di Tim Brasil e della divisione consumer.

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