
In poco più di vent’anni la Fiat è passata dal dominare il mercato auto italiano a diventare un ricordo. Nel frattempo, la storica Ifi di famiglia si è trasformata in Exor, holding con sede in Olanda controllata da John Elkann e dai discendenti Agnelli. Nel portafoglio, oggi, resta ben poco di industria tradizionale: l’era delle fabbriche e della produzione è stata sostituita da finanza, tecnologia, media e sanità.
L’era Elkann: meno fabbriche, più finanza
Exor è diventata una macchina da rendita: investe in Ferrari, Stellantis, Philips, Juventus, The Economist, Gedi e Louboutin.
Gli utili non arrivano più dalle catene di montaggio, ma da laboratori diagnostici, cliniche private e prodotti di lusso. La sede è in Olanda, dove il sistema dei diritti di voto consente di controllare col 32% Ferrari pur possedendone solo il 2,7%.
Cessioni eccellenti e addii storici
Negli ultimi anni Exor ha ceduto marchi simbolo come Magneti Marelli, Comau e Iveco, segnando l’uscita progressiva dal mondo manifatturiero italiano. I proventi? Dividendi miliardari agli azionisti e un portafoglio sempre più globale, ma lontano da Torino e dalle logiche sociali e sindacali che avevano reso la Fiat un pezzo d’Italia.
Il “miracolo” Ferrari e i conti d’oro
Ferrari è oggi il vero gioiello della cassaforte Elkann: vale tre volte Stellantis in Borsa (80 contro 24 miliardi). Nel 2018 rappresentava il 17% degli asset Exor, oggi è al 43%. A inizio 2025 la holding ha venduto una piccola quota incassando 3 miliardi, senza perdere il controllo. La sede legale? Non più Torino, ma Amsterdam, dove conviene di più.
Ombre ereditarie e battaglia legale
Sullo sfondo resta la contesa sull’eredità Agnelli: Margherita contesta la leadership del figlio e ha denunciato presunti trust e conti esteri. La Procura di Torino indaga per frode fiscale e truffa, mentre John Elkann continua a guidare il gruppo con mano ferma.
Il bilancio finale: meno Italia, più profitti
Dal 2017 al 2024 il valore degli asset Exor è raddoppiato da 19 a 38 miliardi.
In sette anni John Elkann ha trasformato il simbolo dell’industria italiana in un impero finanziario cosmopolita.
Meno utilitarie italiane, più utili olandesi: così è cambiato per sempre il “castello” degli Agnelli.