La notizia era nell’aria. Ma ora arriva la conferma. Il più importante imprenditore cinese, Jack Ma, il fondatore di Alibaba, è un membro del Partito comunista. A sostenerlo è il giornale che di quel Partito è la massima espressione, il “Quotidiano del Popolo”.
I modi e, soprattutto, i tempi della rivelazione lasciano qualche perplessità. Pechino è nel mezzo della guerra commerciale contro gli Stati Uniti e Jack Ma ha (nei mesi scorsi) annunciato che il prossimo anno lascerà la guida del colosso di e-commerce, la concorrente orientale di Amazon con un giro d’affari da 39,9 miliardi di dollari e un valore di mercato da 390 mld.
Fino ad oggi infatti Jack Ma, l'uomo che si è fatto da solo imparando l'inglese dai turisti di Hangzhou, aveva fatto di tutto per dare al mondo l'impressione di una "corretta distanza" dalle autorità. Del governo "bisogna innamorarsi, ma senza sposarlo", aveva detto nel 2015 al World Economic Forum. Si è così imposto come uno dei pochi imprenditori cinesi, in grado di parlare al mondo esterno alla seconda economia al mondo. E, in particolare, di riuscire a dialogare con Washington. Ma poi le cose sono mutate. Dopo che la Casa Bianca ha negato alla sua Alipay l'acquisizione di Moneygram, colosso americano delle rimesse, Jack Ma, ha ritirato la promessa fatta a Trump di creare 1 milione di posti di lavoro negli Stati Uniti. Per, poi, definire "stupida" la guerra commerciale.
Prima l’annunciata uscita da Alibaba per il prossimo settembre – manterrà comunque il suo posto nel discusso consiglio di saggi che sceglie la maggioranza del board della società - e ora la notizia sui rapporti politici. L'affiliazione politica di Jack Ma getta una luce inquietante a ritroso sulla storia dell'azienda, della sua crescita e della sua quotazione in Borsa, quando non fu dichiarato alcun legame con il Partito.