Il mondo ricco è a corto di manodopera

Il mondo ricco è a corto di manodopera
Rafia Zakaria

L’attuale carenza di manodopera negli Stati Uniti fa sì che il paese abbia qualche milione di posti di lavoro in più rispetto ai lavoratori disposti a svolgerli. La camera di commercio americana sostiene che “durante la rimodulazione conseguente alla pandemia, i lavori che richiedono una presenza di persona e che tradizionalmente hanno salari più bassi, hanno avuto maggiori difficoltà a trattenere i lavoratori. I settori del tempo libero, dell’ospitalità e della vendita al dettaglio, per esempio, hanno registrato i tassi di abbandono più elevati dal novembre 2020, costantemente superiori al 4,5%”. Le cose non vanno molto meglio nel Regno Unito, come ad esempio dimostra il caos negli aeroporti del paese (e non solo).

Non esiste una sola ragione o soluzione per questa crisi. Sia gli Stati Uniti sia il Regno Unito hanno bassi tassi di crescita della popolazione. Se a questo si aggiungono il rimescolamento causato dal Covid-19 e il fenomeno cosiddetto delle grandi dimissioni (che ha visto milioni di statunitensi rinunciare al loro posto di lavoro), si ottiene il disastro che è l’attuale mercato del lavoro.

Secondo il Baker institute della Rice University, i lavoratori nati all’estero devono essere parte della soluzione. Infatti, sebbene solo l’1,8% degli immigrati negli Stati Uniti lavori nel settore dell’agricoltura, della pesca o della silvicoltura, rappresentano più del 35,3% di tutti i lavoratori in questi settori. Allo stesso modo alte percentuali di immigrati si ritrovano tra i lavoratori dell’edilizia, dell’ospitalità, delle pulizie e della manutenzione degli edifici.

Il rapporto del Baker institute non vede alcuna via d’uscita da questo rompicapo, se non la creazione da parte degli Stati Uniti di programmi di immigrazione basati sul lavoro e che consentano alla manodopera d’origine straniera di colmare le lacune dell’economia statunitense.

Sebbene il rapporto prenda in considerazione soprattutto i lavoratori poco qualificati, le imprese sono in difficoltà anche nel tentativo di assumere lavoratori altamente qualificati. Le aziende tecnologiche dichiarano di essere, ad esempio, alla disperata ricerca di lavoratori nel campo della sicurezza informatica.

Il risultato? Tutte le attività professionali che possono essere automatizzate o trasformate in lavoro a distanza seguiranno probabilmente questa strada. Se gli impieghi che richiedono un lavoro fisico saranno occupati da lavoratori immigrati provenienti perlopiù dal Messico, la maggior parte degli altri sarà automatizzata o delocalizzata all’estero.

Secondo un servizio del format televisivo statunitense 60 Minutes, prima della pandemia 1 posto di lavoro statunitense su 67 era effettuato a distanza e poteva essere svolto da qualsiasi parte del mondo. Negli Stati Uniti postpandemici sembra che 1 lavoro su 7 sia svolto a distanza. Attualmente la maggior parte di queste posizioni lavorative è occupata da lavoratori statunitensi.

Tuttavia lo smart working potrebbe rivelarsi una svolta secolare anche per i lavoratori qualificati di altre parti del mondo, che ora potrebbero candidarsi per impieghi a loro preclusi in precedenza per problemi di visto. È il caso, tra gli altri, del Pakistan. Se è vero che negli Stati Uniti ci sono meno lavoratori che in passato, ce ne sono invece milioni desiderosi e disponibili a lavorare dal paese medio-orientale.

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