Iran, le proteste per l’assenza di acqua finiscono nel sangue

Le mobilitazioni vanno avanti da settimane e hanno provocato la violenta reazione del regime. Secondo il governo iraniano il caldo anomalo e la siccità sono da imputare al cambiamento climatico, ma per i manifestanti ci sono gravi colpe delle autorità nella gestione delle risorse idriche. Intanto la situazione economica resta difficile perlopiù a causa delle sanzioni americane.

Le proteste per l’acqua finiscono nel sangue

Da settimane in Iran si protesta per la scarsità d’acqua nel paese. Negli ultimi giorni le manifestazioni si sono fatte più intense e sono state represse con violenza dalle forze di sicurezza. Le mobilitazioni si sono tenute principalmente nella provincia del Khuzestan, nel sudovest del paese, dove il problema della mancanza di acqua è più grave, ma ce ne sono state diverse anche in altre zone dell’Iran, compresa la capitale Teheran.

Il Khuzestan, oltre a essere la provincia da cui l’Iran estrae la maggior parte del petrolio (circa l’80% del totale), è anche quella in cui si trovano le maggiori risorse idriche iraniane. Qui la maggior parte della popolazione vive di agricoltura, e la scarsità di acqua ha esasperato persone che già vivono in condizioni di grande povertà.

Secondo le autorità iraniane, la carenza di acqua nel Khuzestan è dovuta alla grave siccità che ha colpito l’Iran da marzo e che si è aggravata negli ultimi giorni a causa delle temperature molto elevate che hanno aumentato la richiesta di acqua in tutto il paese. Le temperature molto alte non sono una novità nel periodo estivo, ma il caldo di questi giorni ha raggiunto livelli mai visti: in alcune zone è stata registrata una temperatura di 50 °C e una riduzione di più del 50% delle precipitazioni rispetto alla media di questo periodo.

Il governo iraniano ha detto che il caldo anomalo e la siccità sono da imputare principalmente al cambiamento climatico, ma secondo i manifestanti ci sono gravi colpe delle autorità governative nella gestione delle risorse idriche: la costruzione di dighe sui più importanti fiumi della provincia, con l’obiettivo di deviare i corsi d’acqua verso le zone desertiche dell’Iran, avrebbe finito per lasciare il Khuzestan privo di quella che sarebbe una delle sue principali risorse.

Nonostante le proteste siano state perlopiù pacifiche, la polizia ha risposto con grande violenza nei confronti dei manifestanti. I disordini di queste settimane sono arrivati in un momento piuttosto delicato per l’Iran, sia per la transizione politica dovuta all’elezione del nuovo presidente, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, che il 5 agosto prenderà ufficialmente il posto dell’uscente Hassan Rouhani, sia per la pandemia da coronavirus e la difficile situazione economica causata in buona parte dalle sanzioni americane.

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