I conti in rosso delle banche centrali

Le banche centrali dei paesi avanzati registreranno probabilmente forti perdite nei prossimi anni. Sono la conseguenza delle politiche monetarie non convenzionali adottate a partire dalla crisi finanziaria

I conti in rosso delle banche centrali

Le importanti perdite che tutte le principali banche centrali dei paesi avanzati presumibilmente registreranno nei prossimi anni sono la conseguenza delle politiche monetarie non convenzionali adottate a partire dalla crisi finanziaria, che hanno portato a zero o sottozero i tassi d’interesse e accresciuto gli attivi degli istituti di emissione con l’acquisto di titoli pubblici. Ora che i tassi sono saliti, a fronte di attività poco remunerative, ci sono depositi bancari ben più onerosi. 

Ad esempio, il Regno Unito ha stimato che nei prossimi cinque anni la Bank of England avrà bisogno di 133 miliardi di sterline per coprire le perdite che è destinata ad accumulare a seguito dell’aumento dei tassi d’interesse. Probabilmente in Italia la situazione è meno grave, anche perché i rendimenti dei titoli pubblici italiani acquistati dalla Banca d’Italia sono rimasti più alti di quelli di altri paesi.

Fra il 2010 e il 2022 il totale delle attività detenute dalla Banca d’Italia è passato da poco più di 300 mld di euro a quasi 1.600 mld grazie alle politiche monetarie non convenzionali messe in campo dalla Bce. Questo ha permesso di accrescere i profitti realizzati dal nostro istituto di emissione fino a toccare l’enorme cifra di circa 20 mld negli ultimi tre anni (2019-2021). Dopo aver pagato tasse per circa 1,3 mld all’anno, la Banca d’Italia ha devoluto allo Stato italiano oltre 5 mld in ogni esercizio.

L’azzeramento di queste entrate o addirittura la necessità di ricapitalizzare la Banca d’Italia porrebbe degli indubbi problemi ai nostri conti pubblici già stressati dall’enorme debito accumulato negli scorsi decenni. Per fortuna, in questi anni la Banca d’Italia ha accantonato importanti riserve volte a fronteggiare i rischi derivanti dalla sua complessa attività. Tuttavia, se l’inflazione richiedesse un più forte e prolungato aumento dei tassi, la situazione finanziaria della Banca d’Italia, come quella di molte altre banche centrali, diventerebbe più critica. La vendita anticipata dei titoli in bilancio poi non farebbe altro che aumentare le perdite registrate.

Certamente, le banche centrali non hanno tra i loro obiettivi quello di generare profitti, ma di mantenere la stabilità dei prezzi. Tuttavia, la situazione attuale produce un potenziale conflitto d’interesse. Se infatti ogni aumento dei tassi d’interesse procura un appesantimento della loro situazione finanziaria, è possibile che non esercitino la sufficiente fermezza per combattere l’inflazione. Più in generale, la storia probabilmente ci porterà a una rilettura critica dell’efficacia delle politiche monetarie non convenzionali che ci hanno accompagnato negli ultimi anni e una più attenta valutazione dei loro costi e benefici.  

Sono stati qui riportati alcuni passaggi di un articolo pubblicato su lavoce.info e firmato dall’economista Rony Hamaui.

Fonte
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