Il 28 gennaio, il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi è stato eletto a capo dell'Unione Africana (Ua) - l'organizzazione che raccoglie i 55 paesi africani. Un'altra vittoria per un leader che i gruppi per i diritti umani ritengono responsabile delle morti di almeno 817 manifestanti al Cairo in un solo giorno cinque anni fa.
Al-Sisi succede al presidente ruandese Paul Kagame come presidente dell'UA, che sulla carta si prefigge di modernizzare i governi, accelerare la crescita economica, ridurre la povertà e migliorare l'accesso all'assistenza sanitaria in tutta l'Africa.
La nomina del presidente egiziano, tuttavia, non stupisce. L'organizzazione vanta tra le sue fila leader che hanno valori profondamente patriarcali e conservatori, discutibile legittimità e passati spesso macchiati di sangue. Nell'ultimo decennio, l'Ua ha dimostrato di essere efficiente nel diffondere dichiarazioni e comunicati stampa, ma ha ripetutamente omesso di intraprendere azioni disciplinari contro le amministrazioni tiranniche.
Anziché risolvere i problemi della povertà, l’Ua si è così trasformata in un club esclusivo di despoti. Il suo nuovo presidente, Al-Sisi, lo scorso 2 aprile ha vinto le elezioni presidenziali in Egitto con uno straordinario 97% dei voti, assicurandosi un altro mandato di quattro anni. Il processo elettorale non è stato libero, equo e trasparente. Eppure tra gli obiettivi principali dell’Ua c’è proprio la promozione della democrazia.
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