
“È la crisi economica più grave dalla nascita della Repubblica Federale nel 1949”. Le parole di Peter Leibinger, presidente della BDI (la Confindustria tedesca), suonano come un ultimatum. Non una semplice fase negativa, ma una crisi strutturale profonda che mette in discussione le fondamenta del modello economico tedesco. Il rischio evocato è quello di una deindustrializzazione irreversibile.
Numeri che non mentono: crescita zero e occupazione in calo
I dati confermano il pessimismo. Nonostante l’allentamento del freno al debito deciso dal cancelliere Friedrich Merz e un maxi piano da 500 miliardi di euro per infrastrutture e digitalizzazione, l’economia reale resta ferma. Il Pil 2025 oscilla tra 0 e +0,1%, la disoccupazione sale al 6,3% e il settore manifatturiero ha perso oltre 500 mila posti di lavoro rispetto al periodo pre-Covid.
Automotive in affanno, simbolo di un declino più ampio
Il settore che meglio rappresenta la crisi è l’automotive, fiore all’occhiello del Made in Germany. Le case tedesche soffrono la concorrenza aggressiva dei veicoli elettrici cinesi, i ritardi su batterie e digitalizzazione e i costi energetici elevati. Colossi come Volkswagen sono stati costretti a ristrutturazioni e chiusure di impianti fino a poco tempo fa impensabili.
Geopolitica e riarmo: la paura di un conflitto in Europa
A complicare il quadro c’è la dimensione geopolitica. In Germania cresce il timore di un’espansione russa verso l’Europa. Durante recenti incontri tra imprenditori italo-tedeschi è emersa una convinzione inquietante: non si discute più del se, ma del quando. Il riarmo di Berlino risponde a questa percezione di minaccia, ma drena risorse e attenzione dall’economia civile.
Investimenti lenti, imprese senza ossigeno
Il problema, sottolineano gli industriali, è che i fondi pubblici faticano a tradursi in cantieri reali a causa di una burocrazia elefantiaca. Nel frattempo, le imprese energivore non vedono benefici immediati: le tasse restano tra le più alte dell’Ocse e il prezzo dell’elettricità è ancora doppio rispetto a Stati Uniti e Cina. Il risultato è un clima di crescente tensione tra aziende e governo.
La Cina come specchio (e rivale) del modello tedesco
Secondo Leibinger, l’errore strategico della Germania è stato credere che la divisione internazionale del lavoro fosse immutabile. Pechino, invece, ha studiato e replicato il “Modello Germania”: manifattura avanzata, export, hidden champions. In vent’anni la Cina ha assorbito tecnologia e processi produttivi, diventando concorrente diretto nei settori ad alto valore aggiunto.
Il bivio tedesco
La Germania è davanti a una scelta storica: riformare profondamente il proprio modello industriale oppure rischiare un declino inesorabile.


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