Quanti interessi economici dietro il colpo di stato in Birmania

La Birmania è tra i paesi più corrotti al mondo. Secondo gli investigatori dell’Onu, l’esercito andrebbe processato per “genocidio”, perché ha massacrato, violentato ed espulso i rohingya dalla Birmania occidentale tra 2016 e 2017. E per il gruppo di attivisti Justice for Myanmar, “gli interessi finanziari del generale Min Aung Hlaing devono essere considerati un movente del colpo di stato”.

Quanti interessi economici dietro il colpo di stato in Birmania

Il leader del colpo di stato in Birmania, il generale Min Aung Hlaing, sta proteggendo da possibili indagini gli interessi finanziari suoi e della sua famiglia, oltre al dominio incontrastato dell’esercito sull’economia.

Min Aung Hlaing ha assunto il potere assoluto all’alba dell’1 febbraio, cinque mesi prima del suo pensionamento obbligatorio all’età di 65 anni. “I suoi interessi finanziari devono essere considerati un movente del colpo di stato - spiega in una nota il gruppo di attivisti Justice for Myanmar -. Il generale Min Aung Hlaing detiene l’autorità suprema sui due conglomerati militari della Birmania: Myanmar economic corporation (Mec) e Myanmar economic holdings limited (Mehl)”.

Secondo alcuni resoconti, Mec e Mehl hanno investito in numerose attività commerciali: dai porti ai depositi di container, dalle miniere di giada e rubino all’immobiliare e all’edilizia. La lista delle proprietà della famiglia di Min Aung Hlaing è lunga. Un rapporto Onu del 2019 sosteneva che Mec e Mehl “contribuiscono a sostenere le capacità finanziarie del Tatmadaw”, l’esercito birmano. Questi conglomerati militari presentano “un alto rischio di contribuire, o di essere legati, a violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale”, si spiegava il rapporto. E non è un caso se l’ong Transparency international inserisce la Birmania tra i paesi più corrotti al mondo.

La pressione internazionale su Min Aung Hlaing è cresciuta dai tempi della sua brutale repressione militare sulla minoranza rohingya. Anche Suu Kyi, la presidente deposta, vincitrice del premio Nobel per la pace e ancora amatissima in Birmania, è caduta in disgrazia a causa della sua risposta alla crisi dei rohingya, e per questo privata di molti dei premi internazionali ricevuti come icona della democrazia.

Secondo gli investigatori dell’Onu, l’esercito andrebbe processato per “genocidio”, perché ha massacrato, violentato ed espulso i rohingya dalla Birmania occidentale tra 2016 e 2017. In più di 730 mila sono fuggiti nel vicino Bangladesh, un paese a maggioranza musulmana, dove continuano a sopravvivere in miseri campi profughi.

Nel 2019 gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni contro Min Aung Hlaing e tre altri dirigenti militari per il loro ruolo nelle violenze contro i rohingya. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha immediatamente condannato il colpo di stato e ha minacciato altre sanzioni. Ma è improbabile che nuove misure punitive di Washington allontanino Min Aung Hlaing e l’esercito dal potere.

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