La crescita economica osservata in Italia è dovuta a meriti propri o alla ripresa globale?

La ripresa dell’economia rischia già di svanire per l’Italia. Nel 2017 il Pil è cresciuto dell’1,5 per cento, ma le stime per quest’anno parlano chiaro: 1,3.

Tuttavia, al di là del dato in quanto tale, ciò che conta è il posizionamento dell’Italia rispetto all’UE27: ultima in classifica. Meglio riuscirà a fare anche la Grecia, che è accreditata per il 2018 del 2,5 per cento, per non parlare dei principali competitors: Francia (1,7 per cento), Germania (2,1) e Spagna (2,5).

Nel 2017 la crescita in Italia è stata pari a quella del 2003, mentre per raggiungere il livello pre-crisi occorrerà attendere il 2022-23. Per “colmare”, invece, i consumi delle famiglie e gli investimenti (pubblici e privati) persi in questi 10 anni di crisi sarà necessario aspettare il 2020 e il 2030.

Questi dati sembrano suggerire due aspetti. Primo, la via italiana alla crescita post-recessione sembra ancorata al recupero della congiuntura globale, piuttosto che alle politiche economiche dell’Italia. Secondo, l'evidenza empirica è lo specchio di cosa il paese avrebbe bisogno: creare lavoro di qualità, mettere in campo una politica industriale di lungo periodo e affrontare le sfide poste dall’economia internazionale.

A livello regionale, le previsioni per il 2018 pongono in prima posizione il Veneto (1,6 per cento), seguito da Emilia Romagna e Lombardia (1,5). Il Veneto, dunque, torna ad essere la locomotiva del Paese, anche se la velocità di crociera risulta inferiore a quella osservata fino alla metà degli anni 2000, quando si lottava con Baviera e Baden-Württemberg per la leadership dell’area manifatturiera più avanzata d’Europa.

Resta comunque il fatto che, rispetto a 10 anni fa, soltanto la provincia di Bolzano (12 per cento) e la Lombardia (0,4) hanno recuperato il terreno perduto durante la grande recessione. Tutte le altre sono ancora con il segno meno.

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